Non vogliamo accomiatarci dal tempo natalizio senza gettare uno sguardo colmo di gratitudine alla figura di san Giuseppe.
Giuseppe è, infatti, fondamentale nella missione di Gesù: perché se Maria ha dato un corpo a Gesù (la carne di Gesù è quella “tessuta” da Maria), Giuseppe gli ha dato un riconoscimento sociale, accogliendolo nella discendenza davidica. Così si esprime l’angelo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Solo in quanto figlio di Davide Gesù può essere riconosciuto come re d’Israele. Ed era necessario che Gesù fosse discendente di Davide, per la promessa che Dio aveva fatto al popolo eletto, come ci ricorda il sacerdote Zaccaria: «come aveva promesso / per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo: / salvezza dai nostri nemici, / e dalle mani di quanti ci odiano» (Lc 1,68-71). Gesù è Salvatore ed è il Messia proprio perché Giuseppe, suo padre (putativo), è della discendenza di Davide.
Nella notte dell'ultimo dell'anno, l’uomo veglia in festa, per essere presente a quell’impalpabile passaggio dal “vecchio” al “nuovo”, per trovarsi, desto, su quell’invisibile crinale tra un secondo e l’altro, come attraversando una soglia. Anche se la fine dell'anno è il semplice passaggio di testimone tra due dei 365 (o 366) giorni che compongono il Calendario Gregoriano (e che, per convenzione, costituiscono la fine di un’unità – l’anno – e l’inizio del computo di una nuova unità), rimane pur vero che in questa notte l’uomo veglia e festeggia, perché il celebrare è una dimensione costitutiva dell’essere umano, che lo radica nel suo passato e lo apre ad una dimensione del tempo che travalica e “santifica” il piatto scorrere dei giorni. Ne sono ben consce le religioni, che nei ritmi del tempo innestano la celebrazione di quanto il tempo trascende: esorcizzando il tempo informe e privo di significato, santificandolo e aprendolo all’eterno.
L’Avvento è tempo propizio per accogliere Gesù nelle nostre vite. Della sua venuta, più di duemila anni fa, facciamo memoria nella liturgia, celebrando e rivivendo questo avvenimento; ma la sua presenza salvifica si attualizza ogni giorno per i cristiani, che attendono il suo glorioso ritorno alla fine dei tempi. Questo tempo liturgico ci invita, dunque, all’attesa, alla conversione e alla speranza.
Condividiamo con i nostri amici l'omelia che l'Arciabate di Montecassino, S. E. p. Abate Donato Ogliari, ha pronunciato durante la santa Messa nella solennità della Madonna della Scala (5 agosto 2019).
Ringraziamo il p. Abate Ogliari per la sua disponibilità.
«Diversamente dai casi in cui un elemento materiale serve a designare un’immagine della Madonna senza purtuttavia racchiudere un particolare significato simbolico (ad es. La Madonna delle rocce, La Madonna del cardellino, La Madonna della seggiola, ecc.) il titolo di “Madonna della Scala” veicola, invece, un forte simbolismo.
Accostandoti al monastero ed entrando nella sua chiesa, dove in certe ore del giorno è possibile assistere alla preghiera corale della comunità monastica, ti sarai forse chiesto: Chi sono i monaci? Che cosa fanno? Come vivono? Sono gli stessi monaci che vogliono offrire, assieme al loro cordiale saluto, una breve risposta ai tuoi interrogativi.