All'inizio dell'anno sociale 2021, il gruppo degli oblati dell'Abbazia di Noci riprende il cammino laddove è stato interrotto dalla pandemia di Covid-19.
Per riallacciare il filo di quanto è stato bruscamente interrotto, pubblichiamo la riflessione che il p. Abate Giustino Pege ha fatto pervenire ai nostri oblati nella Solennità della Santissima Trinità (7 giugno 2020).

Carissimi amici Oblati e Oblate Benedettini,
questa lettera che vi giunge in questo momento vuole essere un messaggio di affettuosa vicinanza a tutti e a ciascuno di voi, da parte mia e di tutta la Comunità.
Chiamiamola una breve riflessione su questi tempi e sul cammino che abbiamo davanti. Una riflessione spoglia di ogni retorica o formalismo di circostanza che definirei piuttosto un abbraccio scritto o una confidenza del cuore.
Comincio allora dicendo che è evidente che questo è stato un anno particolare per tutti noi. La recente pandemia ha rivoluzionato i nostri appuntamenti mensili ma non di meno anche le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre celebrazioni liturgiche, e tanto altro. Un evento, che si pensava relegato solo nei racconti di fantascienza o nei film catastrofici, ha preso consistenza nella nostra realtà quotidiana lasciandoci stupiti e sgomenti. Possiamo comunque ringraziare il Signore che ha risparmiato in maniera evidente questa terra di Puglia, e di conseguenza anche la nostra comunità della Madonna della Scala e le vostre famiglie, preservandoci da lutti e sofferenze come invece, purtroppo, è avvenuto in maniera così drammatica nel Nord del nostro Paese.


Il questo lungo periodo di forzato lockdown o, per dirlo in modo più italico, “confinamento”, con le sue regole rigide di isolamento e distanziamento sociale, ci siamo trovati ad affrontare nuove problematiche riguardanti le modalità di vita e gli equilibri psicologici e relazionali, all’interno della famiglia così come con l’esterno. Per noi monaci la cosa ha avuto connotati meno evidenti. Le comunità monastiche sono abituate a vivere una vita ritirata tra le mura di casa, le nostre famiglie benedettine hanno confidenza con la stretta frequentazione tra i vari membri. E in effetti, in questi mesi di isolamento, il ritmo delle nostre giornate in monastero non è davvero cambiato granché. Voi invece, cari amici, avete forse potuto sperimentare personalmente con i vostri famigliari un poco di vita benedettina, un assaggio di vita monastica nella stabilità del luogo e nella condivisione stretta di spazi e relazioni.
Ma non di meno, sempre in riferimento a questi mesi di confinamento, si è fatto anche un gran parlare delle virtuali possibilità che tutti hanno avuto di potere riflettere sulla vita e sulle consuetudini sociali, sui limiti della nostra società frenetica ed egoista, sulla pericolosa preminenza del fare e dell’avere sull’essere. È una tesi che ben volentieri possiamo sposare anche noi, a patto che questo tempo lo si veda davvero come un'opportunità che ci è stata data, un momento di crisi fecondo e salutare, sul piano personale e spirituale, scaturito dal trovarsi liberi dalla fretta e dal tanto fare. Uno spazio inatteso, recuperato alla preghiera e alla riflessione; recuperato al silenzio e all’ascolto.
In questo tempo, infatti, ci siamo tutti resi conto della nostra povertà “ontologica”, che nessuna scienza o tecnologia o ideologia è in grado di colmare. Siamo uomini e donne plasmati nella polvere di una creazione che ci sovrasta e ci supera, che ci scombina le carte, infrangendo le nostre effimere sicurezze di controllo. Non siamo fuori, ma dentro il creato, ne siamo parte, ad esso siamo indissolubilmente legati, viviamo o moriamo con lui. Ci siamo scoperti più poveri, anche perché, in questo tempo, ci è stato tolto quello che forse ci appariva scontato, ovvio e forse per questo quasi meno importante di altro, cioè gli affetti, le relazioni, la libertà di muoversi e di scegliere. Ed è così che ci siamo resi conto che abbiamo bisogno degli altri, del loro aiuto, del loro affetto, della loro vicinanza, della loro solidarietà. Il sublime scambio, squisitamente evangelico, del dare e del ricevere nella gratuità.
Forse in questo isolamento forzato, per grazia, abbiamo intravisto qualcosa di più profondo, di più limpido e più tranquillo. Abbiamo riscoperto la profondità del cuore, non più nascosto o intorbidito dalla nostra fretta, dalle ansie e dalle tante preoccupazioni. L’acqua di un lago se non viene agitata appare cristallina e permette di vedere la bellezza e la ricchezza del fondo, altrimenti nascosto.
Ed è per questo che tutti ci auguriamo di essere usciti da questo isolamento più umili, più disponibili, più consapevoli di noi stessi e degli altri, in poche parole più umani.
È comunque una sfida aperta quella che abbiamo ora davanti, ne siamo coscienti, perché sappiamo che si tende facilmente a dimenticare o a ritornare alle vecchie, e a volte anche cattive, abitudini di sempre.
Per voi, cari Oblati e Oblate, ne sono certo, questo tempo, al di là dei disagi e delle fatiche, ha portato un arricchimento spirituale e a una migliore consapevolezza di fede.
Certo, la distanza tra voi e il monastero in questo periodo si è fatta sentire. Ci sono mancati i nostri regolari incontri mensili, ci è mancato il nostro stare assieme nel condividere i momenti di preghiera, di fraternità e di amicizia. Ci mancano, ancora adesso, gli abbracci che ci sono preclusi, la vicinanza che appare sospetta, i sorrisi costantemente coperti da un pezzo di stoffa più o meno colorata.
Va da sè che, per questo anno, non sarà più possibile riprendere i nostri incontri, ma coltiviamo la speranza che ci siano le condizioni per ricominciare di nuovo serenamente, magari a ottobre. Vedremo.
Io sono convinto, però, che l’insicurezza che in questo periodo coinvolge un po’ tutti, non sia per noi un limite o un freno, ma al contrario ci deve vedere intenti a vivere con maggiore impegno e fiducia la speranza del Vangelo. San Benedetto stesso è vissuto in tempi difficili, drammatici, ma ha saputo trasformare questa oscurità in luce, malgrado non siano mancate neanche a lui sconfitte e delusioni. Ha perseverato, ha lottato, ha avuto fiducia nel Signore, che è e rimane sempre il Signore della vita e della pace. Ecco allora che noi tutti dobbiamo lasciare alle spalle pensieri negativi, di sfiducia, di pessimismo, o peggio, di depressione, e guardare avanti dando tutto il nostro apporto di fede e di gioia a questo mondo in travaglio. Le fatiche non devono abbatterci, ma confermarci nell’abbandono alla divina provvidenza, sapendo che il futuro è saldo e sicuro nelle mani di Dio.
Stiamo tornando alla “normalità”, come si dice. Speriamo però non alla stessa di prima. Sapremo avere distillato l’essenza della vita, ciò che conta veramente, ciò che vale e resta? Spero di sì! Ma, in fondo, anche se ci siamo riusciti, non abbiamo scoperto nulla di nuovo, abbiamo semplicemente riscoperto o rivalutato la visione cristiana della vita.
Continuiamo il cammino insieme con più slancio e convinzione, con più determinazione nello spirito di san Benedetto, che avvolge i nostri cuori e le nostre case, che ci sostiene nelle fatiche. È sempre lui che dalla sua Regola ci sollecita a una più grande carità, a una più gioiosa speranza e a una più profonda fede. Continuiamo nel nostro cammino, guidati da Cristo, con l’orecchio attento alla sua Parola, con il cuore dilatato dalla gioia e nulla anteponendo al suo amore.

Un grande abbraccio a tutti. In comunione di preghiera, vi benedico di cuore, voi e le vostre famiglie.

L'oblato benedettino

L’oblato benedettino secolare è “il cristiano, uomo o donna, laico o chierico che, vivendo nel proprio ambiente familiare e sociale, riconosce e accoglie il dono di Dio e la sua chiamata a servirlo, secondo le potenzialità ed esigenze della consacrazione battesimale e del proprio stato; si offre a Dio con l’oblazione, ispirando il proprio cammino di fede ai valori della S. Regola e della Tradizione spirituale monastica”

(Statuto oblati benedettini secolari italiani, art. 2)

croce san benedetto